Nemi dentro e fuori
per il recupero e la tutela degli insediamenti storici e del paesaggio
“C’è più bellezza di quanta i nostri occhi possano sopportare, cose preziose sono state messe nelle nostre mani e non fare nulla per onorarle equivale ad arrecare un grave danno”.
( Marilynne Robinson, Gilead, 2008 )
La storia di un territorio può essere raccontata a partire dagli oggetti, dalle cose, risalendo pian piano alla rete dentro la quale si trovano invischiate altre storie: una di queste è quella che riguarda gli uomini, negli aspetti del lavoro, del vivere quotidiano, di quanto hanno saputo fare e costruire per rendere migliore la loro esistenza.
Anche l’architettura popolare dei nostri centri antichi è fatta di storie che nascono dagli oggetti che compongono gli edifici: muri, scale, tetti, cornici, portali, porte, edicole, finestre, grate, serrature, chiavistelli. Oggetti che, ritagliati da un contesto culturale più ampio, riportano ad altri aspetti e settori della vita della città come la religiosità, la musica, la danza popolare, la poesia, l’arte e tutti quegli apporti culturali che definiscono i caratteri di una comunità oltre il lavoro. Dalle storie e dagli oggetti è possibile risalire alla comprensione dei legami che tengono insieme le varie parti della città, parti che sono reciprocamente interconnesse.
La raccolta e la sistemazione ordinata dei dati, propri di una città, fornisce tracce consistenti per identificare, riconoscere e valorizzare l’esistente, in un rapporto di continuità con il passato; inoltre offre alle amministrazioni pubbliche, ai tecnici, agli interessati tutte quelle informazioni utilizzabili come piattaforma conoscitiva per i programmi ed i progetti di recupero.
Tale metodologia di indagine è stata utilizzata nel centro storico di Nemi, dove sono stati analizzati tutti quegli elementi che individuano una relazione, un legame tra gli spazi. I portali e le porte, (vedi figura 1) ad esempio, sono gli oggetti di comunicazione, di passaggio, di interconnessione, di trasporto spazio-temporale tra il dentro ed il fuori che per la loro forma e caratteristica da un lato proteggono, nascondono le realtà retrostanti, dall’altro ne rendono evidenti le tipologie, le funzioni, anticipano l’evoluzione e la consistenza degli spazi celati. Il loro ruolo e il loro messaggio sono rafforzati dalla presenza o meno di elementi architettonici o decorativi come le cornici, i piedritti, gli architravi, gli stucchi che svelano i “segreti” degli spazi sotto i diversi aspetti legati alla loro funzione, alla loro forma, alla loro qualità estetica ed urbana ed alla connotazione socio-culturale delle persone e delle attività che lì si svolgono o si sono svolte.
Le porte delle cantine e delle grotte di via Solferino e via delle Grotticelle celano misteri: davanti, nella poca luce dell’ingresso, i segni e gli oggetti delle attività legate alla cultura contadina e popolare, dietro, nella totale oscurità, il vuoto continua, si insinua nella terra fino chissà dove. E nascono allora le fantasie insieme ai fatti reali, i vecchi raccontano di lunghi cunicoli ipogei a Nemi che collegano posti lontani, di persone nascoste, di armi, di storie di briganti e di tesori abbandonati, di acqua di sorgente che filtra dalle pareti, di animali che abitano il buio, di gente che un tempo scavava per recuperare spazio, acqua, materiale da costruzione dentro la grotta. Fuori invece solo una porta: “quella porta”.